UN VIAGGIO IN BICI NELL'ESTATE 1968


Vorrei raccontare una curiosa storia della mia adolescenza: di voglia di distacco dalla famiglia, ma anche del piacere del ritorno. Una piccola vicenda personale che si intreccia con la Storia.
Correva l’anno 1968, ed io, quasi diciassettenne, sognavo Parigi, Londra, Amsterdam, i miti della musica.
Trascorrevo l’estate calda e sonnolenta fra l’aiuto ai genitori in campagna, i giochi in paese , le sere con gli amici.
Mio cugino Roberto ( più giovane di 3 anni) viveva allora a Treviglio (BG) e trascorreva sempre una parte dell’estate da noi, e io da loro a Villa d’Adda.
Nella bassa campagna cremonese a Quattrocase si stava bene. Si giocava, si parlava, si andava a pescare ( pescegatti, scardole, tinche e … tante rane). Eravamo inseparabili. Era un modo per divertirsi e contribuire concretamente al sostentamento familiare.
Si facevano progetti. Un bel giorno ci venne l’idea di andare dai suoi genitori che gestivano temporaneamente , per le ferie estive, una farmacia a Bagnolo Cremasco. Bagnolo distava circa 100 Km. dal nostro piccolo paese.
L’impresa ai nostri occhi era ardita. Disponevamo di 2 vecchie bici da donna, mal ridotte.
A me, che ero più grande, spettava l’organizzazione della spedizione. Esclusi pertanto di informare i miei genitori e le sorelle perché non ci avrebbero consentito la partenza. La sera precedente gonfiai le bici, racimolai i pochi risparmi ( 150 lire), tagliai qualche fetta di salame e le misi in un tascapane.
Alle 4.30 svegliai Roberto e di soppiatto, senza far rumore, partimmo. Lasciai un biglietto sul tavolo per indicare le nostre intenzioni.
Avevamo pantaloni corti, ma per fortuna ci eravamo dotati di un maglione, che ci fu molto utile nelle prime ore del mattino. Ricordo che il mio maglione era di lana gialla, infeltrito, fatto ai ferri  da mia zia Piera.
Dopo 20 Km la fatica cominciò a farsi sentire, iniziarono dolori addominali dovuti al freddo e ci imponemmo con uno scatto di orgoglio di continuare. Un ritorno sarebbe stato troppo inglorioso e tenemmo duro.
In un paesino, dopo circa 40 Km., vedemmo una donna aprire le imposte della sua casa che davano sulla strada e le chiedemmo un poco d’acqua. Lei ci accolse nella sua povera cucina con tanta cortesia ed affetto, probabilmente chiedendosi cosa ci facevano 2 ragazzi sprovveduti sulla strada a quell’ora. Quando passo di lì , ancora oggi,  ricordo con piacere quella donna e quella casa.
Poi la meta intermedia era Cremona. Arrivammo circa alle 8 di mattina. Subito ci fermammo da un fornaio e con i miei pochi soldi prendemmo 6/7 michette fresche. Mangiammo voracemente davanti alla stazione ( la fame della gioventù) pane e salame così buoni che mi viene ancora l’acquolina.
Poi di nuovo in bici. Tappe brevi, caldo, bevute e vesciche sulle natiche sempre più dolorose. A Crema bella sosta con panino nei giardini e poi l’ultimo sforzo.
Arrivammo trafelati, ma felici, verso mezzogiorno, il sedere in fiamme. Accolti calorosamente , ma con qualche rimprovero, dagli zii Ferruccio e Lina.
Ce l’avevamo fatta, eravamo raggianti per quella che a noi sembrava una promessa mantenuta, una vera impresa.
Appena arrivati  i miei zii telefonarono al mio paese presso il Tabacchino della mitica Angiolina ( noi non avevamo il telefono) per avvisare i miei del nostro arrivo sani e salvi ( a parte il sedere).
Nel pomeriggio mio zio Ferruccio ci annunciò  con fare grave che nella notte l’Unione Sovietica aveva invaso la Cecoslovacchia. Era il 21 Agosto 1968. Stava cambiando il mondo, ma noi non potevamo capire il significato profondo di quei fatti. Né potevo sapere quanto importante quell’avvenimento ed i fatti successivi ( Jan Palach, Dubcek ….e poi Vàclav Havel e il 1989) sarebbero stati per la mia formazione politica antitotalitaria negli anni successivi.
Restammo 3-4 giorni a Bagnolo a leccarci le ferite e poi tornammo, accompagnati da zia Lina, con la loro gloriosa Ford Taunus e le bici nel bagagliaio fino a Cremona. Gli ultimi 50 Km di nuovo in bici.
Al ritorno fu un vero trionfo per noi , condito di parecchie ramanzine materne e paterne, sicuri di aver raggiunto un gradino di indipendenza ed autonomia dai “ grandi”.
Cosa non si fa per diventare grandi.

(Racconto pubblicato su rivista locale di Casalmaggiore il 21-12-2013; scritto da mio cugino Marzio Zaini)








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